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I protagonisti di "Drive My Car"

Ogni volta che esce un film giapponese in Italia, sono felice. Penso che i cineasti nipponici abbiano uno stile tutto loro, soprattutto quando realizzano un’opera drammatica: in molti di loro, percepisco un’atmosfera rilassante, semplice, senza troppi fronzoli stucchevoli.

Probabilmente è solo una mia impressione sciocca, ma questi film riescono a suscitarmi emozioni dove altri non riescono.

Per questo, appena esce un film in Italia, corro a vederlo, anche perché sono veramente pochi a uscire dai confini del Giappone. Penso che bisognerebbe esportarne molti di più.

“Drive My Car” mi ha maggiormente catturato in quanto adattamento di un racconto breve di Murakami Haruki, un autore che adoro e di cui dovrei recuperare moltissime opere.

Questo film, oltre a essermi piaciuto molto, ha segnato un’esperienza particolare: sono riuscito a sopravvivere a 3 ore di film, senza pausa, con la mascherina e senza pop corn da sgranocchiare.


Scritto e diretto da Hamaguchi Ryusuke, “Drive My Car” (in originale “Doraibu Mai Kaa”) è un film drammatico giapponese, basato sull’omonimo racconto breve scritto da Murakami Haruki, contenuto nella raccolta “Uomini Senza Donne” (“Onna no Inai Otokotachi”, 2014). Il film è stato distribuito quest’anno.


Coloro che calcano il palco di “Drive My Car”

Il protagonista è il regista teatrale Kafuku Yusuke (Nishijima Hidetoshi), ancora scosso dall’improvvisa morte della moglie (Kirishima Reika).

Ad affiancarlo vi sono i membri della compagnia teatrale multiculturale che vogliono portare in scena “Zio Vanja” (Anton Chekhov) a Hiroshima, a partire dai sudcoreani Kon Yoon-su (Jin Dae-young) e Lee Yoon-a (Park Yoo-rim), la taiwanese Janice Chen (Sonia Yuan) e il giapponese Koji Takatsuki (Okada Masaki), con cui Yusuke ha dei particolari trascorsi.

Ultimo personaggio importante, anzi figura chiave, è la giovane autista assegnata a Yusuke, Watari Misaki (Miura Toko).

Il cast è molto variegato, sia dal punto di vista culturale che da quello psicologico. La storia è costruita intorno a uno spettacolo portato in scena da una troupe multiculturale, quindi ci sono personaggi provenienti da diversi paesi asiatici, alcuni resi più importanti, come l’aiuto-regista/interprete Yoon-su, la coreana Yoon-a e la taiwanese Janice, altri molto meno.

Yoon-a è un personaggio ancora più peculiare, in quanto sordomuta: sembrerebbe avere una maggiore difficoltà, rispetto agli altri attori, ma in realtà è quella che regala molte più emozioni e ha una storia ben strutturata.

Passiamo al protagonista, Yusuke. Il suo carattere è molto enigmatico di suo e dopo la morte della moglie, appare ancora più schivo.

L’incontro con l’autista Misaki, dal carattere e dalla vita completamente diversi rispetto a lui (infanzia abbastanza problematica, giovanissima eppure troppo matura) sarà cruciale per l’evoluzione del suo percorso. Una coppia molto bella, soprattutto perché non porta al trito e ritrito legame romantico.

La moglie di Yusuke, sebbene viene a mancare a inizio film, è sempre presente, soprattutto in quanto legame tra il marito e uno degli attori della compagnia, Takatsuki. Inoltre, il suo carattere, ancora più enigmatico di Yusuke, è continuo oggetto di analisi da parte di diversi personaggi, ma anche da parte di noi spettatori.

Il personaggio di Takatsuki, infine, è molto utile per capire alcuni difficili aspetti dello showbusiness in Giappone.


Come allestire un bello spettacolo

La storia principale inizia dopo mezz’ora di film: prima sembra esserci più un prologo che porta allo sviluppo della storia, ovvero il rapporto di Yusuke e la moglie fino alla morte di quest’ultima. Poi, avviene l’ingaggio di Yusuke, due anni dopo la disgrazia, come regista per uno spettacolo multilingua a Hiroshima della famosa pièce “Zio Vanya”.

Parliamo, per un momento, della figaggine di questo tipo di spettacoli.

Gli attori si esibiscono in maniera tradizionale, sul palcoscenico. Ogni attore dice le battute nella sua lingua principale (giapponese coreano, cinese mandarino), ma dietro di loro c’è uno schermo che proietta le battute nelle altre lingue degli attori.

Gli spettatori, quindi, hanno l’opportunità di sentire e leggere le battute in lingue diverse. Abbastanza intricato, ma ottimo anche per l’apprendimento.

Mi piacerebbe tanto assistere a uno spettacolo del genere.

Tornando alla trama…mentre viene allestito lo spettacolo, abbiamo modo di vedere l’evoluzione dei rapporti tra diversi personaggi, soprattutto quello tra Yusuke, ancora in lutto, e l’autista Misaki, grazie a cui l’uomo avrà modo di riflettere sul suo rapporto con la defunta moglie e andare avanti nella vita. Il legame non sarà affatto unilaterale, visto che anche Misaki si è costruita un muro intorno a sé e ha molto di cui sfogarsi. Yusuke potrebbe rivelarsi una figura molto importante per lei.

Il film, quindi, è molto introspettivo e pone importanza ai legami personali, nonché alla difficoltà di superare importanti ostacoli e traumi nella vita.

Essendoci anche uno spettacolo di mezzo, vengono mostrate molte scene tipiche di una qualunque produzione teatrale professionista, dal casting alla messa in scena finale.

Essendo amante del teatro, ho apprezzato molto queste scene. L’alternarsi tra spettacolo e momenti più intensi, dedicati alle relazioni umane, ha creato un film molto delicato.

Ovviamente, essendo un film drammatico, non ci sono grandissimi colpi di scena, anzi si possono definire più impedimenti prevedibili. Alcune questioni chiave, inoltre, non sembrano trovare una risposta chiara e forse è meglio così. Rendono questo film ancora più intrigante.

Come già scritto, i film giapponesi sanno creare un’atmosfera unica, almeno secondo me. Per tutta la durata della pellicola, aleggia un clima tranquillo, placido e la storia prosegue a ritmi lenti, ma non proprio nel senso negativo del termine. “Drive My Car”, per esempio, avanza con dei ritmi tutti suoi, senza dilungarsi troppo o tagliare parti importanti per la fretta.

Non a caso, il film dura 3 ore circa. Per una persona non abituata tanto a vedere film lunghi, con ritmi del genere, non è proprio facile resistere fino alla fine, ma ci sono riuscito, nonostante le tante difficoltà esterne (niente intervallo, mascherina da indossare per tutto il tempo, NIENTE POPCORN E ACQUA perché non ho notato nessuna traccia di un bar).

Complimenti al regista per aver trovato tanto materiale aggiuntivo, rispetto all’opera originale, un racconto breve. Non è facile adattare un brano del genere in un film di durata maggiore, senza scadere nel mappazzone noioso.

Il finale è decisamente particolare, non ho capito bene il perché delle ultime scene. Carino, però il riferimento al covid-19, anche se mi ha reso difficile capire l’ambientazione temporale di tutto il resto del film.


La sceneggiatura è molto buona. I personaggi risultano interessanti e pieni di sfumature, anche se alcuni non vengono molto messi in risalto; i dialoghi coinvolgono e la storia scorre molto bene, a ritmi tutti suoi.


La vera protagonista di “Drive My Car”: La macchina

Le ambientazioni sono molto piacevoli: abbiamo modo di vedere diverse città, come Tokyo e Hiroshima. C’è qualcosa di veramente magico nei panorami giapponesi e i tagli di regia, molto belli in questo film, non fanno altro che aumentare la bellezza locale.

Diverse scene sono ambientate a teatro o nella sala prove, quindi ci si immerge ancora meglio nei momenti dedicati allo spettacolo.

L’elemento estetico principale, però, è la macchina di Yusuke, una bellissima Saab rossa che può essere considerata benissimo come un personaggio principale, visto che permette la costruzione del legame tra il suo proprietario e Misaki.

La colonna sonora non è presente in maniera massiccia, come in molti film giapponesi. Poche tracce semplici, sono la storia e i personaggi a sovrastare (giustamente).


“Drive My Car” ha decisamente aumentato il mio amore per il cinema giapponese, bravissimo nel creare opere molto diverse tra loro: film semplici, film divertenti, film spaventosi, film trashissimi. Ci vuole del vero talento.

Mi dispiace molto che non abbia trovato molta distribuzione in Italia: soltanto pochi cinema lo stanno trasmettendo. Penso che sia un vero peccato perché è un titolo molto valido, con pochissime pecche e molti pregi. Il cinema giapponese merita più riconoscimento, a livello mondiale.

Per fortuna ha ottenuto il suo spazio, al Festival di Cannes: è stato selezionato per concorrere alla Palma D’Oro e ha finito per ottenere diversi premi, tra cui quello per la Miglior Sceneggiatura.

Inoltre, ultimamente ha ottenuto altri premi importanti, come il Golden Globes per il Miglior Film Straniero, e ora gareggia in 4 categorie degli Academy Awards: Miglior Film, Miglior Film Straniero, Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura non Originale.

Peccato che per il Miglior Film Straniero si trova contro “È stata la mano di Dio” di Sorrentino.

Mo’ per chi tifo?

Il trailer del film è disponibile qui!

RedNerd Andrea

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