Ho intenzione di raccontare tutto il weekend a Kyoto in un solo post. Dedicherò una pagina per ogni giorno. Buona lettura del papiro che ne uscirà fuori. <3
Finalmente, il mio primo semestre a Sendai è finito. Da una parte, sono molto contento perché posso smettere (tecnicamente) di studiare per un paio di mesi e godermi un po’ di svago e sano nullafacentismo, ma da una parte sono un po’ triste perché dovrò salutare alcuni amici che torneranno a casa tra febbraio e marzo.
Sono questi momenti che mi fanno rendere conto che il tempo è un vero infame: proprio quando ti diverti, vola che è una maledetta meraviglia.
Cerco, però, di non pensarci molto, quindi preferisco dedicarmi alla parte ludica e rilassante delle vacanze.
Lavoro a parte, infatti, ho intenzione di fare qualche viaggetto, anche se breve, per il Giappone.
Quale meta perfetta per inaugurare questi due mesi di vacanza se non la città dove è si è realmente rafforzato il mio legame con la cultura giapponese? Il luogo dove, quasi 2 anni fa, ho potuto migliorare le mie conoscenze linguistiche e in cui ho conosciuto delle bellissime persone?
Kyoto, l’antica capitale.
Potevo scegliere altri posti, la scelta era pressoché infinita, ma io ho preferito tornare in un luogo già visitato perché l’amore che provo per Kyoto è troppo forte. Non avrei retto ancora a lungo la nostalgia.
E così, zaino in spalla e trolley in mano, ho combattuto le mie paure e mi sono diretto all’Aeroporto del Kansai, a Osaka, prendendo l’aereo da Sendai.
È stato un viaggio molto rapido, rispetto a quello che faccio di solito per arrivare in Giappone da Roma, visto che ci ho messo sì e no 1 ora e 20 minuti.
Ovviamente, non sono mancati momenti di ansia: tra l’ora di ritardo per l’imbarco (da una compagnia giapponese non me lo sarei aspettato), ai continui allarmi per il Coronavirus e l’aereo che cigolava, le prime decine di minuti di volo non mi hanno fatto stare tranquillo.
Dulcis in fundo, la signora giapponese seduta accanto non ha fatto altro che ripetere, a ogni rumore sospetto, Shinitakunai (“Non voglio morire”).
Grazie, signò, lei sì che sa infondermi un briciolo di tranquillità.
Alla fine, però, il viaggio è andato bene. Sennò, non sarei qui a raccontarlo.
Arrivato a Osaka, toccava prendere un treno ad alta velocità per raggiungere la stazione di Kyoto.
Ed è stato qui che mi sono ricordato dell’assenza di sobrietà in Giappone.
Forse ero abituato troppo a una città piccola e umile come Sendai, sta di fatto che sono rimasto di stucco, quando mi sono trovato a salire su un treno completamente dedicato a Hello Kitty.
Anche i copritesta erano pieni della celebre gattina mascotte.
E vabbè. Bentornato nel vero, folle Giappone, Andrea.
Dopo un’altra ora e 20 minuti di viaggio, sono finalmente arrivato a Kyoto.
Visto che mancava ancora un po’ di tempo prima del check-in all’ostello, ho deciso di farmi subito del male, dirigendomi a Enmachi, il quartiere in cui ho studiato per tre mesi il giapponese e conosciuto gente stupenda.
Ed ecco che ho rimesso piede, anche se solo brevemente, nella sala giochi in cui mi divertivo a fermarmi con gli amici, nel negozio di giochi in cui ho preso la mia beneamata Nintendo Switch e nella scuola di giapponese.
Volevo fare 31 andando nella piccola bottega specializzata nei melonpan, ma a quanto pare dopo 2 anni ha cambiato gestione e ora fa roba salata. Peccato.
Finito il giro di Enmachi, visto che mancava ancora un pochino, mi sono diretto a Kameoka, il luogo dove si trovava il mio dormitorio e in cui ho vissuto alcuni dei momenti più intensi della mia permanenza, tra cui il correre a fare la spesa sotto una tempesta di lampi e tuoni, un festival stupendo ma pieno zeppo di persone e i tre tifoni estivi, l’ultimo dei quali era stato il distruttivo Jebi.
Un’oretta dopo, finalmente potei fare check-in e lasciare il mio bagaglio in camera, poi finalmente mi sono potuto dedicare alla parte sociale del viaggio.
Infatti, ho avuto modo di rivedere alcuni volti amici, tra compagni di università in viaggio di studio, amici italiani e giapponesi conosciuti a Kyoto. Ovviamente, ho conosciuto anche altri ragazzi italiani. La mia cultura non sarà perfetta, ma ho sempre apprezzato la nostra bravura nel fare gruppo, soprattutto quando si tratta di dare manforte ad altri connazionali intimoriti all’estero. Siamo una grande famigghia.
E così, tra giri a Book Off (il mercato dell’usato giapponese), mangiate e bevute (viva l’umeshu!), si è concluso il primo giorno del mio ritorno a Kyoto.
Per qualsiasi info sul Seimei Jinja, sono a disposizione! Diciamo che modestamente sono un piccolo esperto! Anzi, mi hai fatto venire voglia di farci un post! Un abbraccio, Andrea!