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Avreste mai immaginato di vedere una caotica, colorata ad energica Tokyo desolata?

Io no, ma tramite la serie TV “Alice in Borderland” si può. Fa impressione.

Penso di essermi gustato quasi tutte le serie giapponesi uscite sulla piattaforma streaming, almeno per quanto riguarda i generi diversi dal drama romantico.

Era da un po’ che non usciva qualcosa di nipponico e io avevo una necessità folle di fare pratica con il giapponese, in attesa di laurearmi.

Netflix mi ha fatto un regalo di Natale, mettendo questa serie e un film (che vedrò il prima possibile).

Amando il thriller e i giochi pericolosi (basta che non venga coinvolto io, sennò me la faccio sotto in un secondo), mi sono fiondato su “Alice in Borderland”.

Risultato: Il Giappone mette poca roba su Netflix, ma quando lo fa, fa sempre la sua bella figura.

“Alice in Borderland” mette angoscia, grazie a una storia piena di misteri e un gioco folle, dove la moralità umana viene mandata brutalmente a quel paese.


Diretta da Shinsuke Sato, “Alice in Borderland” è l’adattamento televisivo dell’omonimo manga, creato da Haro Aso e pubblicato dal 2010 al 2016, per un totale di 18 volumi.

La serie è formata da 8 episodi.


Il protagonista di questo gioco al massacro è Arisu (Kento Yamazaki) – da cui proviene molto probabilmente l’Alice del titolo -, un giovane molto intelligente e di buona famiglia ma scapestrato e senza voglia di andare avanti nella vita.

Il ragazzo viene coinvolto nella storia insieme ai suoi amici di infanzia, il litigioso Karube (Keita Machida) e il timido Chota (Yuki Morinaga).

Durante la serie, conosceremo molti altri personaggi, come la bella Saori (Ayame Misaki), l’intelligente Chishiya (Nijiro Murakami), la combattiva Kuina (Aya Asahina) e la scalatrice Usagi (Tao Tsuchiya).

A un certo punto, conosceremo anche la misteriosa comunità della Spiaggia, che comprende il leader Boshiya (“Cappellaio”) (Nobuaki Kaneko) e il suo team: Ann (Ayaka Miyoshi) e Mira (Riisa Naka). A essi sono contrapposti i Lottatori, capitanati da Aguni (Sho Aoyagi), Last Boss (Shuntaro Yanagi) e Niragi (Dori Sakurada)

Il cast è molto nutrito, come previsto in un thriller survival, e i personaggi sono tutti interessanti, ognuno dotato di una personalità peculiare.

Arisu è molto intelligente, ma apatico, svogliato e pigro. Un protagonista non facile da apprezzare, soprattutto perché affiancato da personaggi più tosti e complessi, infatti non sono mai riuscito ad affezionarmi completamente a lui.

Ironicamente mi sono più legato a personaggi più secondari come Karube (super leale, ma dal pugno facile), Usagi (eroina modello final girl) e Kuina (uno dei personaggi dal potenziale psicologico più alto, per me).

Ho trovato interessante la faida tra i due gruppi maggiori della Spiaggia, in termini di strategia: il gruppo del Cappellaio usa più il cervello, mentre i Lottatori, nomen omen, si appoggiano alla violenza.

Secondo me, ogni personaggio ha spunti interessanti ma mai sviluppati a dovere: alcuni hanno palesemente un ruolo più importante, anche all’interno del gioco in generale, ma non è mai stato un accenno di spiegazione, molto probabilmente perché sapevano già di fare più stagioni (infatti, è già stata confermata una seconda parte).

Tuttavia, sia i protagonisti che i secondari non sono ben approfonditi: perché Arisu ha sviluppato questa tendenza apatica a vedere la vita, nonostante potesse avere qualunque cosa? Cosa ha spinto il Cappellaio a diventare ossessionato con gli ideali della Spiaggia?


La storia si riassume così: buona parte di Tokyo sparisce improvvisamente. Le persone rimaste sono costrette a partecipare a giochi mortali. I vincitori ottengono un visto di alcuni giorni, da prolungare vincendo altre sfide. Se il visto scade, il proprietario viene ucciso da raggi laser provenienti dall’alto.

Arisu e i suoi amici incappano nei giochi e incontrano, nel tempo, altri sopravvissuti.

Ovviamente, non tutte le sfide sono facili e alcuni personaggi non riusciranno ad arrivare alle fasi più avanzate della storia.

Gli enigmi sono molto fighi: non sono affatto banali e quando serve il cervello, spingono anche lo spettatore a riflettere sulla soluzione. Ovviamente, nel mio caso, non ci ho azzeccato mai.

Ogni gioco ha una sua difficoltà, simboleggiata attraverso una carta da gioco. Il seme rappresenta un tipo di sfida (per esempio, il seme di cuori indica un gioco basato sui tradimenti e le emozioni, mentre quello di quadri indica una sfida da affrontare con il cervello). Più alto è il numero, invece, più è difficile la sfida.

Nel corso della serie, si formeranno molti interrogativi nella vostra mente: come hanno fatto milioni di abitanti a sparire? Chi c’è dietro il gioco? Come hanno fatto ad arrivare i vari superstiti alla Spiaggia e cosa facevano prima di tutto il casino?

Essendo la serie sempre incentrata su Arisu, non avremo le risposte a tutto, anche perché diventa sempre più palese, con il tempo, che la serie è stata strutturata a prescindere in più stagioni. Dopotutto, il manga conta 18 numeri.

Essendo una storia thriller, con molti tratti horror e mystery, la tensione è alta. I giochi sono mortali, quindi la paura che un personaggio, soprattutto tra il cast principale, possa morire da un momento all’altro, è perenne. I colpi di scena, poi, sono dietro l’angolo, e possono avvenire pure nei primi episodi. C’è stato un momento che mi ha distrutto, sinceramente.

Riguardo alcuni personaggi, vengono mostrati dei flashback per farceli conoscere un po’ meglio, così da capire meglio il perché si comportino in una determinata maniera durante il Game.


La sceneggiatura è buona: i giochi vengono spiegati bene, senza spoilerarli sin dal primo secondo. I personaggi sono variegati, alcuni più sviluppati, altri meno, mentre la storia è chiara ma allo stesso tempo piena di punti interrogativi.

Carini i diversi riferimenti ad “Alice nel Paese delle Meraviglie”: il protagonista fa di cognome “Arisu” (la pronuncia giapponesizzata di “Alice”), le carte da gioco e la figura del Cappellaio. Sicuro ci sono altri easter egg, ma non sono così intelligente da coglierli tutti.


Le ambientazioni trasmettono alla perfezione la desolazione, l’atmosfera post-apocalittica. Vedere una Tokyo vuota, senza persone e senza luce fa venire i brividi dalla paura. Sono quegli scenari che non vorresti mai vedere nella vita vera.

Essendo una serie con protagonisti dei giochi letali, ci sta molta violenza e sangue.

Colonna sonora non memorabile, anzi è un po’ ripetitiva: c’è una canzone che si sente in quasi ogni episodio. Potevano tranquillamente mettere qualcos’altro per cambiare? Budget limitato?

Non c’è il doppiato italiano, quindi ho avuto un motivo in più per godermi la lingua giapponese. Ho fatto dell’ottimo allenamento.


“Alice in Borderland” ha tanta carne al fuoco: ci sono enigmi, personaggi interessanti, colpi di scena e scenari inquietanti. I fan del macabro avranno di che gioire.

Mi fa rabbia il dover aspettare la seconda stagione perché voglio sapere le risposte alle tante domande.

E sapete qual è la cosa peggiore? Che in Italia non è mai uscito il manga. Quindi non posso manco spoilerarmi il finale in anticipo, che pizza, uffi, odio le attese.

Su, vedetelo.

RedNerd Andrea

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