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No, non è opera mia. Non potevo mettere mica un obbrobrio come copertina.

Uno degli elementi culturali giapponesi più popolari in tutto il mondo è l’origami: si tratta di un’arte tradizionale che consiste nel piegare dei fogli di carta, creando una figura che può essere un animale o un oggetto.

A dirlo, sembra facile, ma fidatevi. Non lo è per niente.

Ogni figura ha la sua difficoltà e per alcune creazioni occorre usare più fogli.

Per questo motivo, l’origami può essere sia un piacevole diletto da fare quando ci si sente in vena creativa oppure una vera e propria arte, soprattutto se si è veramente bravi.

Per riuscire a creare una figura come si deve servono estrema precisione e concentrazione.

Ho avuto modo di sperimentare il mio talento con l’origami e sono arrivato a una conclusione abbastanza prevedibile.

Meglio che rimanga uno sporadico hobby. Sprecherei troppa carta innocente.


Una volta al mese, il programma universitario a cui sono iscritto organizza un pranzo di gruppo a cui sono invitati tutti gli studenti affiliati e anche chi si vuole imbucare (almeno credo, visto che entrambe le volte ho visto ragazzi di programmi diversi).

Ognuno si porta il pranzo da sé e chiacchiera del più e del meno sia con gli altri compagni di corso stranieri che con studenti giapponesi. Nel mentre, si può bere gratis (solo acqua, tè e altra roba non alcolica, ovviamente) e si partecipa a qualche piacevole attività culturale.

Per l’ultimo pranzo del 2019, le professoresse organizzatrici hanno deciso di farci fare gli origami. Infatti, questa volta erano presenti molti più studenti, sia stranieri che giapponesi. Non bastavano nemmeno le sedie per sedersi.

In tutta la stanza, c’erano diversi tavoli in cui ci si poteva cimentare nella creazione di un origami di forma e difficoltà diversa.

Io sono riuscito a fare tre diversi origami, ironicamente in un percorso di difficoltà crescente.

Mi piacerebbe spiegarvi come farli, ma mi sono già scordato i piegamenti da fare, quindi accontentatevi della descrizione dell’oggetto e del mio risultato.


Il primo origami è stato il più semplice, tant’è che sono riuscito a farne due in un quarto d’ora.

Si tratta di un porta bacchette da usare a capodanno (o il primo dell’anno, al momento ho dei dubbi). Molti studenti ne preparano uno e se lo portano a casa, se hanno intenzione di festeggiare in famiglia. Essendo andato a Tokyo per quei giorni, non sono riuscito a usarlo, anche perché ho usato della carta davvero carina e mi sarebbe dispiaciuto rovinarlo.

Essendo una creazione di difficoltà basica (con un solo foglio di carta, tra l’altro), è venuto carino. Inoltre ho dialogato in giapponese con una studentessa e mi ha detto che vorrebbe visitare l’Italia.

Mi fa sempre piacere quando uno straniero mi dice di essere interessato a visitare il mio Paese.


Il secondo origami è stato il più drammatico ed esilarante.

Bisognava creare una replica del kagami mochi.

Sì, la parola “kagami” crea una forte ilarità tra noi italiani (soprattutto tra i romani come me), ma in giapponese significa “specchio” e ha anche una valenza molto simbolica e religiosa.

I mochi sono dei dolci di riso tondi e questa variante si chiama “kagami” perché la sua forma ricorda uno specchio. Sono dei dolci da mangiare nell’anno nuovo: ne esistono molte variante, dalle più semplici e umili a quelle più grandi, decorate e ricche, ma in base si tratta di due mochi, uno più grande sotto e uno più piccolo sopra. Sopra al mochi piccolo vi è un daidai, un arancio amaro giapponese.

Ecco, di base nella realtà è così. Ha un aspetto invitante. Io, personalmente, non l’ho ancora mangiato, ma vorrei provarlo.

La sua versione cartacea, ovviamente, non può essere identica, ma quello che ho fatto io è tutt’altro che decente.

Confrontiamo il vero con l’imitazione.

Ugualissimi, non trovate?

Era inutile che la mia insegnante mi dicesse che ero stato bravo, io ridevo e dicevo (in maniera ovviamente più cortese) “ma che c***o stai a dì? Fa schifo!”. Anzi, fa cagare, o kagare, tanto per restare in tema.

E meno male che la difficoltà era più o meno media, sempre con l’utilizzo di un solo foglio di carta (ovviamente di colore arancione, per omaggiare il frutto in cima al dolce). Se fosse stato più difficile, chissà che orrore sarebbe uscito fuori.


Il terzo origami è stato una vera sorpresa.

Sono finalmente riuscito a sedermi al tavolo in cui c’era come insegnante una ragazza che frequenta insieme a me il corso di “Comunicazione Interculturale”, tenuto proprio da una delle due professoresse organizzatrici del pranzo mensile.

Appena ho visto l’origami protagonista, mi sono quasi pentito di essere andato da lei.

Si trattava di una trottola. Difficoltà avanzata, tre fogli di carta da usare, uno per ogni componente della trottola. Il più piccolo era il più semplice, quello di mezzo un po’ più difficile, quello sotto che fa da base a tutto era il più intricato.

Aiuto. Se il kagami mochi era venuto osceno, chissà che trottola sarebbe uscita fuori, dalle mie mani.

Ma sti cavoli, buttiamoci. Tanto c’erano altre due persone a imparare, compreso l’amico portoghese di “Star Wars”.

Per prima cosa, abbiamo cominciato con il più facile e fin lì, tutto a posto.

Poi è arrivata la parte di mezzo ed è stato più tosto.

Arriva il terzo pezzo e quasi impazziamo per tutti i procedimenti da fare. Per fortuna, la ragazza giapponese ci parlava sia in giapponese che in inglese, quindi sono riuscito a capire tutto, soprattutto perché il suo giapponese è molto rapido e io non sono così bravo da seguire i discorsi spediti. Inoltre, piegava i fogli a velocità ultrasonica, mentre noi eravamo più lenti e metodici, quindi le abbiamo dovuto pure chiedere di ripetere i movimenti.

Finite le tre preparazioni individuali, è arrivato il momento dell’assemblaggio. Sì, come i robot.

Io ho tremato. Non ero particolarmente soddisfatto del risultato, quindi temevo che non si sarebbe costruito o sarebbe venuto fuori non funzionante.

Invece è venuto carino.

Io stesso ne sono fiero. Non faccio così pena, come “artista”.

Mi sono anche reso conto di aver creato una trottola pseudo natalizia, avendo scelto carta rossa e verde.

Ovviamente, per capire definitivamente se l’esperimento fosse stato un successo, bisognava far girare la trottola.

La mia creazione è un successo al 101%. Stavo per commuovermi, anche perché mi era sembrato di tornare ai tempi delle elementari, quando sfidavo i miei compagni di classe a una partita di BeyBlade, ovviamente perdendo.

Ho riacquistato dignità, dopo il disastro con il kagami mochi.


Nonostante sia ben conscio di non essere bravo, ho capito che l’arte dell’origami può essere un ottimo passatempo per diversi motivi:

  • Richiede concentrazione, quindi aiuta la gente distratta a migliorare la propria abilità di focalizzarsi su un singolo oggetto.
  • È molto rilassante, quindi potrebbe essere un ottimo rimedio contro l’ansia e la fretta. A meno che il praticante non sia provvisto di impazienza. In quel caso, si aumentano solo gli attacchi di rabbia per ogni piegamento sbagliato.
  • Grazie ai vari modelli e alle varie difficoltà, non si finisce mai per essere monotoni.
  • Se escono fuori cose belle, te ne puoi vantare con tutti, pure col piccione che parcheggia sul balcone ogni giorno!

Se non fossi oberato di compiti, esami, lavori e altri impegni, ammetto che per due-tre giorni di seguito mi chiuderei volentieri in camera a fare solo origami.

Chissà come potrei diventare, se ignorassi tutto per creare figure di carta.

Di certo, diventerei così paziente da essere pericoloso.

RedNerd Andrea

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