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Il tempo, quando ci si mette, vola.

Sembra ieri che mi preparavo ad affrontare più di 15 ore di volo in totale per raggiungere Tokyo, farmi tre giorni di vacanza e poi dirigermi a Sendai per studiare alla Tohoku University per quasi un anno.

Invece, è già passato più di un mese. Uao.


Devo dire che ne sono già successe di cose.

Tanto per cominciare, mi sono beccato la bronchite. Ottimo inizio di anno accademico, ve? Per fortuna, grazie alle competenze mediche giapponesi, il tutto si è risolto in poco tempo e sono guarito giusto in tempo per l’inizio delle lezioni.

Il programma accademico in cui sono stato inserito prevede un totale di 13 crediti a semestre da ottenere seguendo dei corsi. Ovviamente, alla fine del semestre, devo superare gli esami finali in modo da ottenere un voto abbastanza sufficiente da ottenere i CFU. In Italia, ogni esame è da almeno 6 crediti. Qui in Giappone, o almeno alla Tohoku, un esame corrisponde quasi sempre a 2 crediti, alcuni a 4. Quindi devo seguire almeno 6 corsi a semestre. Sembra una roba pesante, ma bisogna considerare un paio di cosette:

  • 1. Ogni lezione si tiene per un’ora e mezza.
  • 2. Quasi ogni corso prevede una lezione a settimana, massimo due.

Alla fine, quindi, non è terribile. Abituato a più di 20 ore settimanali a Roma, riesco a rilassarmi un filino di più a Sendai, visto che in totale devo seguire 15 ore a settimana. Per di più, ho il lunedì libero. Mai successo, in 5 anni accademici.

La presenza di un numero nutrito di compiti compensa le poche ore. Ogni settimana, devo studiare kanji nuovi, rispondere a dei questionari propedeutici per quasi ogni lezione su internet, leggere dei brani di letteratura e fare delle composizioni in un limite massimo di caratteri. Quest’ultima prova è la più rognosa, a mio modesto parere. Io, sia in forma scritta che orale, sono un fiume in piena, se l’argomento su cui discutere mi attira molto. Ergo, non c’è verso di fermarmi, se non sopprimendomi con una badilata in testa. Come riuscire, quindi, a scrivere di un determinato topic evitando di sforare? Fidatevi, 400 caratteri non sono tanti, soprattutto perché bisogna anche rispettare delle regole di impaginazione che sacrificano preziosi quadrati.

Il mio primo 作文 (sakubun, “composizione”) è stato drammatico. Per quanto ami scrivere, quando si tratta di fare compiti scritti ho una specie di blocco dello scrittore. Ci vuole una vita prima che io riesca a mettermi al lavoro. Finalmente, il giorno prima della lezione (bello ridursi sempre all’ultimo, non trovate?), vengo preso dallo spunto creativo e scrivo tanta roba. Così tanta che probabilmente avrebbe occupato addirittura 1000 quadrati. Mi sono trovato costretto a tagliare tantissima roba, riducendomi all’essenziale. Se prima ero abbastanza fiero del mio operato, ora ne ero disgustato perché faceva pietà. Mi appello alla pietà della mia professoressa.

Stop alle lamentele (per ora) e torniamo alle lezioni universitarie della Tohoku. Ovviamente sono tutte in giapponese, o almeno in prevalenza. Non volendomi stressare troppo già al primo semestre, ho deciso di iscrivermi a un corso sulla letteratura inglese vittoriana, tenuto in inglese. Il prof è un simpaticone british (o almeno, l’accento è british) e il programma verte su un’opera di Elizabeth Gaskell. Finalmente mi ficcherò in testa che quest’autrice non è solo “Nord e Sud” (la cui miniserie mi ha fatto conoscere quell’attore meraviglioso che è Richard Armitage). Il romanzo è interessante, il prof spiega bene, quindi va bene così. In più, mi sto rendendo conto di essere in grado di capire meglio l’inglese, rispetto al passato. Sono davvero migliorato, dopo anni di pratica? O forse è il prof che parla lento e in maniera comprensibile perché ci sono anche studenti giapponesi? Sicuramente la seconda ipotesi, ma voglio illudermi di essere diventato bravo almeno con l’inglese.

Un’altra lezione non tutta in giapponese è sulla letteratura giapponese contemporanea. Finalmente posso avere a che fare con opere e autori recenti. Essendo Sendai nella regione del Tohoku (tristemente famosa per il terribile terremoto, con tsunami annesso, avvenuto nel 2011), si sta parlando molto della letteratura del disastro (naturale). Molto triste e angosciante, ma importantissima per conoscere meglio la società moderna giapponese. In più la prof è adorabile, nonostante sembri sempre sull’orlo di un esaurimento. Considerando che spiega sia in inglese che in giapponese e che ha a che fare con almeno 30 studenti, capisco le sue difficoltà, ma la ringrazio perché riesco a fare pratica di due lingue contemporaneamente.

Il resto delle lezioni è totalmente in giapponese.

Ovviamente, oltre alle lezioni più letterarie, devo seguire dei corsi di lingua. Grazie al cavolo, sennò come miglioro dal punto di vista linguistico? Io, sinceramente, vorrei tanto il certificato di N2 (pari al livello linguistico C1), quindi vorrei sgobbare. Per fortuna, i corsi a cui devo partecipare comprendono tutto: ascolto, conversazione, lettura, scrittura e kanji. Anche in questo caso ho dei prof molto competenti che fanno lavorare il giusto.

Poi ho un corso chiamato “Seminar Research”. Dopo 4-5 lezioni, ancora non ho capito dove dobbiamo andare a parare. Nemmeno i miei compagni lo hanno capito. Il prof, poi, non aiuta: comunica poco, non ci ha presentato una schedule dettagliata di ogni lezione (gli altri, invece, ci hanno dato un foglio sulla tabella di marcia di ogni lezione – adoro.) e non dice in maniera molto chiara cosa ci tocca fare a ogni lezione. Probabilmente anche lui deve aprirsi ai suoi allievi. Si sbrigasse, però, perché i suoi due crediti me servono.

Infine, ho un seminario intitolato “Comunicazione interculturale”. Si tratta di un corso seguito sia da stranieri che da giapponesi, in cui tutti ci scambiamo informazioni sulla nostra cultura. Inizialmente eravamo 4 stranieri e 20 giapponesi, ora noi forestieri siamo diventati tipo 8. Anche i giapponesi, però, sembrano aumentati. Niente, la maggioranza sarà sempre loro, per la gioia della mia ansia. La prof, anche in questo caso, è carinissima, ci fa partecipare a molte attività divisi in gruppi, in modo che possiamo conoscerci tutti. Ovviamente si dialoga in giapponese. Probabilmente, alla fine della fiera, se a febbraio sarò migliorato nella lingua, sarà per merito di questo corso.

Insomma, sul fronte università sono molto soddisfatto, nonostante ci siano tante scadenze burocratiche, alcune delle quali sono sbucate all’ultimo e non si sa da dove.

I compagni di classe sono molto piacevoli. Ho già beccato i miei connazionali, ma sto avendo modo di conoscere persone da tutto il globo. Strano ma vero, sto imparando a essere una persona sociale. Socievole non lo so, ma sociale sì.

Menzione speciale per una delle signore della segreteria per noi studenti di scambio: essendo stata in Italia per vacanza, conosce qualche parola in italiano e da quando ha scoperto la mia provenienza, ci tiene tanto a fare pratica. Che carina. Forse sono riuscito a insegnarle la differenza tra “Come stai?”, “Come State?” e “Come sta (Lei)?”. La prossima volta esigo che mi insegni lei qualcosa nella sua lingua, sennò lo scambio è impari.


La cosa più bella dell’università, però, sono le mense. Ce ne sono almeno tre nel campus di Kawauchi, dove frequento i corsi.

Sono ottime, accoglienti, squisite e economiche. Anche quando prendo 4 piatti, pago meno di 500 yen (4€). Ammetto, però, di scegliere sempre i piatti più standard: immancabili sono la ciotolona di riso in bianco stile “Dragon Ball” e la scodellina di zuppa di miso. Troppo buoni, inoltre fanno bene. Probabilmente prenderò la residenza alla mensa centrale del campus, ci vado a mangiare ogni giorno. Poi però scappo al bar a bere del caffè (quasi decente), sennò mi abbiocco alla lezione delle 13. Purtroppo il desiderio di fare una pennichella durante la lettura dei kanji è perenne. Arriverà il giorno in cui russerò sul libro e farò una figuraccia mondiale, non so quando ma succederà.


Passiamo a un altro argomento piuttosto importante: il dormitorio.

Quest’anno, ho preferito scegliere un luogo più vicino al centro della città. A Kyoto, incantato dalla possibilità di avere un bagno privato, scelsi un alloggio in aperta campagna e ne pagai le conseguenze. Kameoka era una zona bellissima, ma molto isolata e pieni di insetti. Non solo rischiavo di trovarmi davanti alla porta, ogni giorno, falene e mantidi religiose, ma quando ci fu il periodo dei tifoni, ero praticamente solo, tagliato fuori dai miei amici più centrali. Non avevo fatto moltissime conoscenze, in quel dormitorio, e le persone che frequentavo di più erano tutte situate in alloggi più vicini alla “civiltà”. Pensai di aver decisamente sbagliato luogo in cui vivere, quindi per Sendai ho scelto un posto più costoso, ma vicinissimo a università e centro città, in una zona chiamata Aobayama. Anche questa, in realtà, è in aperta campagna, anzi…facciamo prima a dire montagna.

Il primo giorno, infatti, scoprii con mio immenso piacere che il dormitorio era situato in cima a una montagnetta e si poteva raggiungere solo percorrendo una salita di 5 minuti.

Ora…io sono abituato alle strade di Capitignano, il paesino abruzzese stupendo in cui passo sempre le mie estati, quindi di salite ne so abbastanza, ma quella di Aobayama non scherza per niente, soprattutto perché nelle parti finali diventa estremamente ripida. è impossibile, persino a novembre, riuscire ad arrivare in cima senza sudare. Tra l’altro, il primo giorno la percorsi con i principi della bronchite, quindi non è stata una bellissima “prima volta”. Quando, però, si tratta di scendere la montagna è tutto più divertente, a patto che non scivoli. In quel caso, finiresti per ruzzolare per tutta la strada, altro che “Rolling in the Deep”. Se dovesse succedere a me, sicuramente verrei visto da tutto il dormitorio.

Al fine da assicurarmi l’alloggio in una posizione più strategica, ho dovuto fare dei sacrifici, conoscendo la mia persona. Se a Kyoto avevo tutto nella mia camera, cucina e bagno compresi, a Sendai devo condividere tutto. Nella mia camera ho solo scrivania, armadio, scaffali e letto. Cucina e bagno sono in comune. In pratica, devo regolarmi con i miei tempi di utilizzo del bagno, visto che sono tipo da metterci anche un po’. Nonostante i miei buoni propositi, non è mai successo, finora, da dover fare la fila. Il motivo è semplice: ognuno degli abitanti del mio blocco ha un orario completamente diverso dagli altri. Incrociare i miei coinquilini è rarissimo. L’unico giorno in cui sono riuscito a vederli tutti è stato il giorno del tifone Hamabis (avvenuto poche settimane fa), tanto per farvi capire l’affluenza di persone nel mio blocco. Per questa ragione, non ho ancora legato con i miei coinquilini, tranne qualche chiacchierata occasionale con uno di loro perché o ha meno vergogna o perché magari non gli sto così tanto sui cocomeri.

Nel mio blocco, è presente persino una creatura leggendaria. Lo chiamo “Il vampiro”. In un mese, l’ho visto sì e no 3 volte, sempre verso mezzanotte. Non l’ho mai visto mangiare, solo andare al bagno.

Un’altra creatura misteriosa è “Il microondaro”. Il motivo per cui gli ho affibbiato questo nome improbabile è il metodo curioso che usa per cucinare gli spaghetti: riempie una vaschetta d’acqua, ci ficca gli spaghetti, la chiude e la ficca nel forno a microonde per cuocere la pasta, programmando vari turni di cottura di 5 minuti fino a che non è soddisfatto.

Io uso la pentola tradizionale e ci metto in tutto 20 minuti.

L’ho già beccato due volte mentre massacrava a modo suo dei poveri spaghetti Divella ed entrambe le volte anche io stavo cucinando la pasta. Non penso di poter continuare a fare finta di niente, la prossima volta gli spiego l’utilizzo della pentola e se mi dice “Ma l’hai appena usata!”, gliela lavo subito (sia chiaro, lavo sempre le mie cose subito dopo averle usate) e gliela faccio usare perché il mio cuore italiano non può vedere dei poveri innocenti spaghetti venire trucidati così.

Vi chiederete perché usa il forno a microonde. Io non lo so e non credo di volerlo sapere.

Un altro suo grande mistero è il suo perenne raffreddore: sono settimane che risuonano i suoi sonori starnuti. Prenditi qualcosa, bello de casa. Spero non sia il karma degli spaghetti.


Riguardo le conoscenze più generali, sto rivivendo i fasti di Kyoto: sto facendo più amicizia con le persone residenti in altri dormitori. Aobayama è un posto tanto bello quanto dispersivo: ci sono 6 edifici in totale, ognuno di essi alto 6-7 piani. Ergo, siamo una fracca di persone. Sono riuscito a scoprire che dei ragazzi della mia classe abitano nel mio edificio solo dopo un mese perché nonostante ci conoscessimo, non ci siamo mai incrociati all’entrata dell’alloggio, ma solo nell’edificio comune a tutti. Siamo davvero tanti. In queste settimane ho notato persone interessanti che vorrei conoscere, ma non riesco a beccarle mai. Servono degli eventi particolari come i party del dormitorio, almeno so che riuscirei a incontrare tutti.

Aobayama, quindi, ha tanti pregi, ma anche dei difetti. Tra i pregi, abbiamo l’aria fresca, la possibilità di fare attività sportiva anche solo facendo quella cavolo di salita e l’essere a due minuti dalla metro. Inoltre, a valle ci sta pure una mensa dell’università, dove sono soliti incontrarsi gruppi di persone del mio dormitorio. Ottime occasioni per socializzare. Infine, ci abitano sia stranieri che giapponesi, quindi la possibilità di dialogare in giapponese è alquanto alta.

I difetti sono i seguenti: quando piove, la salita diventa un ruscello. Quando comincia a piovere molto, meglio correre a casa, sennò si rischia di dover fare rafting, ovviamente con scarpe per niente adatte. Altro che scarpe allagate, sembra di essersi fatti la doccia vestiti.

Un altro problema riguarda la spesa. In teoria, abbiamo a pochi passi due konbini (da “convenience store”), i piccoli supermercati aperti 24 ore su 24, pieni di roba, compresi pasti già pronti e necessità per l’igiene. Peccato che i nostri non sono proprio konbini perché sono aperti dalle 8 alle 22, quindi 14 ore. Inoltre, uno di essi, Lawson, rimane sempre chiuso la domenica e nei giorni di festa. Per di più, ogni giorno è una corsa contro il tempo perché il cibo più sostanzioso sparisce presto. Dove la vedete, la convenienza?

Quindi, la maggior parte delle volte sono costretto a fare la spesa al centro città. Non che la cosa mi dispiaccia, visto che lì ci sta tutto.

Menzione speciale alla fauna di Aobayama: è possibile incontrare di tutto. Abbiamo due-tre gatti fissi, ma che non possiamo nutrire, ma possono sbucare anche dei procioni. Io ne ho visto uno ed era davvero adorabile. Avrei voluto adottarlo e chiamarlo Rocket.

Dulcis in fundo, è possibile anche avvistare degli orsi. Se mai dovesse accadere, spero che la creatura si trovi al di là di una recinzione rinforzata, mentre io al sicuro nella mia camera, così da ammirarlo attraverso il balcone.

Una delle regole del dormitorio dice proprio “Potreste incontrare degli orsi. Non nutriteli.”

No guarda, non ci tengo proprio a dargli da mangiare un mio braccio.


Sendai è diventato senz’altro il posto delle mie prime volte.

Ho usato per la prima volta il fornello a induzione. Niente più paura di perdite di gas. (a parte quelli corporei)

Ho montato da solo un router WiFi ed è andata talmente bene che non bisognava nemmeno fare una registrazione online. I giapponesi sono proprio avanti, fanno tutto in una mossa.

Convivo per la prima volta con delle persone (che non vedo quasi mai) che non sono i miei genitori.

Per la prima volta, dormo su un materasso tipicamente giapponese. Mi hanno consigliato di toglierlo ogni volta dal letto, insieme al materassino di lattice e le altre coperte, in modo da evitare la muffa. Fare questo “Monta il letto, smonta il letto”, ogni giorno, è molto divertente, quando non rischio di fare tardi a lezione.

Sicuramente vivrò altre nuove esperienze, durante quest’anno. Per esempio, non vedo l’ora di lavorare, così finalmente potrò mettere alla prova le mie dubbie abilità pratiche e sociali.

Sembra strano, ma sento di essermi già abituato ai ritmi giapponesi, in questo primo mese a Sendai. Non ho difficoltà a muovermi, almeno non quando mi preparo i percorsi con Google Maps. Grazie alla metro vicinissima, riesco ad arrivare in orario all’università anche quando esco meno di mezz’ora prima dell’inizio delle lezioni. Adoro mangiare alle mense, anche da solo. Davvero, mi sto trovando bene. In più Sendai è molto bella e naturale. Mi sembra di stare un pochino in Abruzzo. Non è Tokyo o Kyoto, ovviamente, ma si fa apprezzare.

Spero di sfruttare al meglio i prossimi mesi per fare molte cose: voglio imparare a cucinare molte altre cose nuove visto che come cuoco sono peggio di Rachida di “Masterchef”. Inoltre, devo ancora scoprire i luoghi turistici e tradizionali di Sendai, visto che sono sempre impegnato con l’università. Ma soprattutto, ho bisogno una volta a settimana di una stramaledetta onsen. Voglio immergermi nelle stupende acque termali e desiderare di non uscire da lì per almeno due ore. Almeno riuscirei a non pensare a nulla, anche solo per poco tempo.

RedNerd Andrea

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