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Come si dice spesso a Roma, “sò ‘n fracigone”. Davvero, d’ora in poi, se ci fosse il termine “fracigo” su un dizionario, la mia faccia, con tanto di nasone, dovrebbe essere messa come esempio principale.

Nemmeno il tempo di abituarmi di nuovo a clima e ritmi giapponesi che mi sono preso un malanno.

Un po’ me la sono cercata, però.

Nei tre giorni di vacanza a Tokyo, sono andato in giro per tutto il giorno, visitando ogni posto possibile e sudando come un dannato. Nonostante fosse quasi fine settembre, faceva ancora molto caldo e il sole spaccava le pietre. Morale della favola: ero fradicio.

Logicamente, appena tornavo in albergo, necessitavo assolutamente di rinfrescarmi.

Solo che l’ho fatto nella maniera sbagliata: accendendo l’aria condizionata prima di farmi la doccia. Così facendo, avrò preso botte di freddo pericolose nella zona dei bronchi. Per i primi due giorni, non ho sentito nessun cambiamento negativo nella mia salute.

Poi arrivai a martedì 24 settembre, il giorno in cui avrei dovuto lasciare Tokyo per andare a Sendai, il luogo in cui avrei passato un intero anno di studi.

La mia gola aveva decisamente qualcosa che non andava. Era intoppatissima e irritata.

E te pareva. Me so pijato er mal di gola proprio il giorno della partenza.

Sperando fosse solo una cosa temporanea, ho preso lo shinkansen (il treno extrarapido) e sono andato a Sendai, bevendo più acqua possibile durante l’intero tragitto.

La mia gola, però, non voleva saperne di sentirsi meglio.

Io, però, continuavo ad andare di fretta, quindi mi diressi subito al mio dormitorio così da fare il check in e accedere alla mia camera.

Finite le prime sistemazioni, pensai di poter finalmente prendere un oki.

Peccato che non avevo ancora mangiato, quindi corsi a prendere un onigiri e una barretta di cioccolato, poi bevvi il mio oki.

La mia situazione non migliorò affatto, nemmeno la mattina seguente. Anzi…appena sveglio, mi resi conto che era comparsa pure la tosse catarrosa.

Mannaggia a me. Me so pijato la bronchitella annuale.

Purtroppo ho il setto nasale deviato, quindi ho difficoltà a respirare correttamente. Ergo, quando comincia a fare freddo e non mi copro abbastanza oppure quando mi prendo botte di freddo da sudato, mi creo fastidi curabili, ma molto rompiscatole.

Essendo ormai abituato a questo malessere annuale, riconobbi completamente i sintomi e pensai che fosse arrivato il momento di fare un salto dal dottore.

C’è un problema, però. In Giappone, se non hai l’assicurazione sanitaria, paghi una fracca di soldi per ogni cura.

La fortuna, però, mi volle per una volta bene perché proprio quel mercoledì era in programma il tour della città, con tappa al municipio per ottenere l’assicurazione sanitaria. Eddaje.

E così, acciaccato e ancora stanco per un mix di jet lag e malanni, mi diressi con alcuni compagni e i nostri relativi supporter al municipio. A rendere la situazione ancora più tragicomica fu il fatto che mi svegliai circa venti minuti prima dell’appuntamento per partire tutti insieme, quindi non ebbi nemmeno il tempo di fare colazione e lavarmi i denti. Per fortuna recuperai al municipio, mentre attendevo il mio turno per ottenere sia il certificato di residenza che l’assicurazione. Lavarmi i denti al bagno del municipio mi fece sentire moooooolto giapponese. In Italia non avrei mai avuto il coraggio di farlo, piuttosto mi sarei fatto conoscere per l’alitosi in realtà inesistente. Per fortuna, chiunque mi vide lavarmi i denti non mi degnò di molti sguardi, quindi non mi sentii affatto giudicato. Magari nelle loro menti avranno pensato “Povero senzatetto”, ma io non mi sono sentito tanto in imbarazzo.

Nel frattempo, le mie condizioni di salute non erano affatto migliorate, anzi cominciai a sentire pure la febbre. Per fortuna, io non faccio parte di quei luoghi comuni sui ragazzi che con poco più di 37°C chiedono di venire soppressi, quindi ho continuato il mio tour, tossendo, barcollando per la stanchezza e soffrendo per il caldo, perché quel giorno il sole spaccava ancora una volta le pietre. L’equinozio d’autunno era passato già da due giorni, ma continuava a fare caldo come in un giorno d’agosto qualsiasi. CHE PIZZA.

A pranzo, non ne potei più e presi una tachipirina, mentre a cena presi un altro oki.

Niente da fare, il giorno dopo mi sentii ugualmente uno schifo.

Era arrivato decisamente il momento di vedere un dottore. Per fortuna, ora che avevo l’assicurazione sanitaria, potevo pagare di meno le cure.

Visto che non avrei avuto niente di importante da fare fino al 30, andai subito all’ufficio amministrativo del campus per chiedere dove fosse il dottore più vicino.

La prima cosa che il tizio dell’ufficio mi chiese era se mi venisse da vomitare.

‘nnamo bene, pensa che brutto aspetto dovessi aver avuto quel giorno. Gli spiegai con calma i miei sintomi e l’uomo capii subito che lo sbratto non era tra le cose che mi stavano affliggendo. Mi fece parlare con un altro uomo in grado di parlare anche inglese.

Ok che io studio giapponese da circa 5 anni, ma sono ancora lontano dall’essere bravissimo, quindi ciò che non riuscivo a dire in giapponese lo dissi in inglese. Devo ammettere che nella parte nipponica non me la sono cavata affatto male perché il tizio mi capì in poco tempo. “Daje, finalmente mi dirà dove si trova il dottore più vicino.”, pensai.

Mi disse di andare in ospedale. Per colpa di una presunta bronchitella, sarei dovuto andare addirittura in ospedale.

Che ansia.

Poi però mi ricordai che in Giappone non hanno la cosa del medico di fiducia, quindi chi sta male o deve andare in una clinica o all’ospedale. Che ansia davvero.

Probabilmente mi disse di andare all’ospedale perché le cliniche costano un occhio della testa, quindi è stato molto carino e premuroso riguardo il mio statuto economico, però mi ha fatto prendere uno spavento.

Comunque l’ospedale indicatomi era davvero vicino: una fermata di metro e 10 minuti a piedi. Almeno, nel mio essere malato, riuscii a respirare un po’ di fresca aria di montagna (Sendai è una città in montagna e dormitorio e ospedale si trovano in una zona molto montuosa, quindi l’aria è abbastanza fresca).

Finalmente arrivai all’ospedale, una struttura molto accogliente.

Mi resi conto, però, che avevo un problema: ero da solo. Alla mercé di persone che molto probabilmente avrebbero parlato solo in giapponese.

Avrei, quindi, apprezzato di cuore se mi avessero appioppato un supporter del dormitorio ma probabilmente “accompagnare un povero fracigo all’ospedale perché sta poco bene” non rientra nelle loro mansioni. Bene così.

Per fortuna ho incontrato delle signore gentili che hanno provato a farmi capire più roba possibile e in maniera abbastanza facile, guidandomi per l’ospedale così da raggiungere la zona adatta per farmi visitare.

In attesa del mio turno, arrivò l’infermiera e mi fece misurare la febbre (non mi sono portato il termometro in Giappone) e ebbi finalmente la conferma: avevo davvero la febbretta. 37.3°C. Roba da nulla, infatti non ero sull’orlo del collasso fisico. L’infermiera poi carinamente mi chiese da quando mi fossi cominciato a sentire poco bene e volle che le spiegassi i sintomi in maniera più dettagliata. “Che carina”, pensai, “vorrà sapere tutto così il dottore saprà già con chi a a che fare”.

Poi mi disse di cambiare zona perché avrei dovuto fare due operazioni: gli esami del sangue e i raggi x.

Lì mi è veramente preso un colpo.

In Italia siamo abituati a farci solamente sentire i bronchi dalla dottoressa, in questo caso. In Giappone, no. Visto che non mi conoscono, devono vedere il mio sangue e i miei bronchi a raggi x.

Visto che l’ultima volta che mi sono fatto levare sangue per delle analisi risaliva a due settimane prima, un po’ mi è roduto, ne avrei fatto decisamente a meno, ma è per la mia salute, quindi mi feci prelevare altre due fiale di sangue. Anche qui sono state molto carine e delicate, delle vere mani fatate. Poi hanno cominciato a parlare e ridacchiare tra di loro e pensai a varie cose:

  • Avrò fatto delle facce buffe.
  • Gli sarò sembrato buffo a prescindere.
  • Avranno percepito che sotto sotto mi stavo cagando sotto dall’ansia.
  • Scommettevano sulle malattie che avrei potuto avere.

Poi, però, hanno percepito che le stavo guardando con fare interrogativo e mi hanno tranquillizzato. “No, niente, non ti preoccupare”.

È facile non preoccuparsi se non sei tu il malato, sorè.

Finite le analisi, arrivò il momento dei raggi x.

Non penso di aver mai fatto una visita ai raggi x in tutta la mia vita, quindi non sapevo come comportarmi, quindi mi feci guidare dall’infermiera. È durata meno di uno starnuto. Meno male.

La cosa super imbarazzante, per un timido cronico come me che odia il proprio corpo, è stata il dover restare a torso nudo per la visita. Ok che ci è voluto pochissimo, ma sinceramente mostrare la mia pancia da gamer pigrone ai giapponesi, che sono tutti magri, slanciati e dall’aria salutare, ha provveduto ad affossare la mia autostima. Avranno pensato tante cose su di me: “Se sarà magnato troppo tenpura.”, “ma farà un po’ di sport, tipo 7 giorni su 7?”, “Non è il caso di mandarlo dal dietologo?”.

Ultimo passo: il dottore. Alleluia. Finalmente me ne vado da questo posto.

Aspettai per circa un’ora.

Nel mentre, la stanchezza, la febbre e la mancanza di globuli rossi e bianchi cominciò a farsi sentire, ma soprattutto cominciai ad avere fame. Ero tentato di azzannare un onigiri o qualcos’altro di buono dal konbini dell’ospedale, ma preferii aspettare.

Finalmente, arrivò il mio turno. Fui accolto da una benedizione.

Il dottore sapeva parlare inglese. GRAZIE.

E così mi furono spiegati i sintomi del malanno.

CVD, come volevasi dimostrare. Bronchite acuta. E aggiunse, “Non c’è bisogno che La ricoverano”.

E grazie al cavolo, alla fine mica stavo così male.

Gli spiegai che ne soffro spesso, due chiacchiere su come curarmi e concluse con “Se non dovesse sentirsi meglio, torni da me”.

A bello, ma me la stai a tirà?

E così mi vennero dati dei bigliettini, che poi scoprii erano le parcelle da pagare all’ingresso.

La visita mi costò la bellezza di circa 9000 yen, ovvero una settantina di euro. MENO MALE CHE CON L’ASSICURAZIONE AVREI PAGATO DI MENO. Forse ho pagato molto perché non ero ancora provvisto dell’assicurazione vera e propria, che viene rinnovata mensilmente.

Però posso dire che sono valsi la visita, visto che hanno potuto capire la mia condizione di salute molto bene e grazie agli esami del sangue (i cui risultati sono arrivati in nemmeno due ore, non mi era mai accaduto finora) hanno potuto osservare l’indice di infiammazione di bronchi e gola. Ottimo lavoro, sia per accoglienza che per competenze.

Finito questo pagamento, mi venne finalmente dato quello che volevo avere dall’inizio della giornata: le stramaledette medicine.

Quanto cavolo avrei dovuto pagare, stavolta?

Mi diressi in una farmacia vicina all’ospedale. Molto carinamente mi hanno fatto aspettare e mi hanno consegnato le medicine ed è qui che ho notato delle cose veramente ottime.

  1. Ti danno il numero esatto di medicinali che servono per la cura, non scatole intere. Se bisogna prendere 4 antibiotici, te ne danno 4 contati, non la scatola intera. Abbasso lo spreco e l’abuso di medicine, ottimo.
  2. Ti viene consegnato un foglio di istruzioni che ti dice che medicina è, a che serve, quante volte al giorno devi prenderla e in quali momenti precisi della giornata.

La signora poi è stata veramente gentile e mi ha spiegato come avrei dovuto prendere ogni medicina in termini molto comprensibili e senza parlare rapidamente. Sono riuscito a capire tutto, anche se, conoscendo già le medicine in generale, sapevo cosa aspettarmi.

Mi sono stati dati ben 4 medicinali: antibiotico, antistaminico, polvere antifebbre (tipo oki) e qualcosa per mal di testa e mal di gola. Un bel po’ di roba. Per fortuna era tutto da prendere dopo mangiato e una o tre volte al giorno per 5 giorni al massimo. Potevo tranquillamente prenderli uno dopo l’altro.

Praticamente la mia cena consisteva in cibo e cocktail di 4 medicine. Temevo che il mio corpo ne avrebbe risentito, non abituato a tutta questa roba da prendere in un solo momento, ma grazie anche ai fermenti lattici (intelligentemente portati dal’Italia), non ho sofferto nessun effetto collaterale.

Mi ha sconvolto sapere, però, che ero vittima di attacchi di allergia. Solo in Giappone può succedere anche in autunno. Praticamente rischio di passare 12 mesi su 12 in balia di antistaminici, qui. Aiuto.

Adoro, comunque, il fatto che la farmacista mi disse di stare attento agli antistaminici perché fanno venire sonnolenza.

Zì. Soffro di allergia al polline da anni, quindi so benissimo cosa succede quando prendo un antistaminico.

E qui arriva la parte migliore: tutta questa roba l’ho pagata meno di 1000¥. Nemmeno 7 euro. Con tutto che avevo gli antibiotici.

In Italia per pagare solo gli antibiotici ci vogliono molto più di 10 euro. Incredibile. Questo è sicuramente merito dell’assicurazione, almeno quella base che avevo.

Se ero uscito dall’ospedale stanco e infastidito, uscii dalla farmacia tutto contento e speranzoso di guarire in poco tempo.


Diciamo che non ho cominciato benissimo il mio anno in Giappone. Andare in ospedale, nonostante non fossi in grave pericolo, non era tra le prime attività da fare per conoscere Sendai.

Per fortuna, nonostante il costo della visita, ho potuto contare su grande competenza e gentilezza, soprattutto perché in tutto l’ospedale, in quelle ore, ero l’unico straniero. Mi sono sentito meno spaventato, da persona che ancora non sa parlare un ottimo giapponese. Per di più, ho potuto fare uso di medicine molto efficaci a un prezzo super onesto. Il tempo di prenderle e mi sono sentito decisamente meglio.

Ma ammetto di essere fiero soprattutto sul fronte psicologico: non mi sono fatto influenzare dal fattore “comunicazione interculturale”. Nonostante fossi da solo in un ospedale giapponese, con buona parte dello staff che non parlava un minimo di inglese, sono riuscito a comunicare e a comprendere cosa bisognava fare, nonostante non abbia capito tutto quello che mi è stato detto. E ho mantenuto il sangue freddo, senza farmi prendere da attacchi di panico.

Questo è l’Andrea che dovrebbe farsi valere. Quello sicuro, calmo e agguerrito.

Scusatemi questa piccola prosopopea, ma ogni tanto ho bisogno di rafforzare la mia self-confidence. YAS.

Chissà, magari quelli del dormitorio mi hanno visto sì malaticcio ma in grado di badare a me stesso senza aiuti. Mossa molto carina, anche se rischiosa.

Ora sta a me non ripetere gli stessi errori, visto che qui in Giappone il clima è molto umido e ogni azione non curante può portare a pessime conseguenze. Nonostante faccia fresco, si finisce comunque per sudare. Il fatto che negli edifici ci sia o solo aria condizionata a palla o aria calda asfissiante non aiuta per niente.

Io, sinceramente, non ci tengo a tornare in ospedale. So che potrei contare su molti aiuti, ma sinceramente vorrei passare un anno tranquillo e senza rogne.

Ho già dato in questi giorni.

RedNerd Andrea

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